Monte Bianco seconda puntata: dopo la bella impresa dell'anno scorso (per noi lo è stata, non di certo per alpinisti provetti) della
Cheney alla Aiguille Croux, siamo tentati dal ripetere l'esperienza solo spostandoci nel magnifico regno dei satelliti del Mont Blanc du Tacul. Obiettivo (sulla carta) paragonabile alla Cheney è la classicissima Ottoz alla Pyramide du Tacul.
Giungiamo ai piedi della maestà Monte Bianco sotto l'acqua di un temporale, ma appena catapultati ai 3400 di punta Helbronner siamo gratificati dall'apertura dell'incomparabile scenario verso il Dente del Gigante da un lato e verso la calotta del Bianco dall'altra. Sistemate le nostre cose in rifugio (Torino) decidiamo per un "passeggio" pomeridiano al col Flambeau, giusto per fare una ricognizione dello stato dei crepacci e delle tracce dirette alla nostra meta di domani.
Dopo l'inevitabile notte insonne la sveglia alle 4 e mezza giunge liberatoria; seguono i preparativi del materiale e la rapida colazione. Ore 6 circa: siamo in marcia al freddo del mattino che ci garantisce neve perfetta e maggior sicurezza nell'attraversamento di crepi, ponti, seracchi e... la parete nord della Tour Ronde che invece decide di scaricare con fragore qualche tonnellata di rocce e ghiaccio, fortunatamente a buona distanza dalla nostra "autostrada". Intanto il magnifico
Cirque Maudit e lo stuolo dei satelliti del Mont Blanc du Tacul si apre a noi, lasciandoci a bocca aperta. Ormai vicinissimi al Grand Capucin e al Pic Adolphe Rey intraprendiamo la discesa verso il nostro piccolo scoglio roccioso. Dapprima terreno delicato, senza tracce evidenti, poi inizia il ravano vero e proprio in cerca della via per avvicinare la Pyramide. Ghiaccio più ripido con tracce recenti di rovinose svalangate dal
sinistro antro sovrastante, caratterizzato da seracchi minacciosi...
Una truppa di cordate americane ci guida indirettamente alla cengia di attacco che raggiungiamo mettendo un po' di convinzione e facendo un "saltino" della terminale... Gli americani spariscono rapidamente verso l'alto tra un grido
off belay e l'altro; tocca a noi partire e cercare i passaggi di III e IV promessi da tutte le guide consultate. L'ambiente è pazzesco: un mare di ghiaccio alle nostre spalle sormontato dalla incastellata del Dente del Gigante, granito purissimo davanti e ai lati, seracchi paurosi e in precario equilibrio sotto di noi.. Il IV grado appare un po' sostenuto e la ricerca dell'itinerario non banale. Filiamo quattro brevi lunghezze cercando di tenere il filo dello spigolo, ma incontrando labili tracce della Ottoz e, faticando non poco a riconoscere la descrizione dei passaggi presente nelle relazioni in nostro possesso. La fatica e l'impegno psichico hanno la meglio sulla determinazione: la quinta lunghezza lascia prostrato il nostro Piero che perviene in sosta solo grazie al provvidenziale "lancio di corda" dalla cordata americana che nel frattempo ci ha raggiunto e superato
. La strada per la vetta è ancora lunga e le forze non ci assistono, dunque si decide per ripiegare. Alcune doppie, rigorosamente corte, ci riportano alla base da cui inizieremo il viaggio di ritorno, riattraversando terminale e
zona sotto il tiro dei cecchini... ehm dei seracchi.
Solo quando avremo messo debita distanza dal campo di tiro ci prenderemo una
siesta contemplativa stravaccati sulla neve. Seguirà delicata camminata nell'area crepacciata e poi infinita e faticosissima risalita verso il Flambeau e poi il rifugio.